- Documento realizzato da: Salvetti Elisa nel: 2018, pubblicato il 26/06/2018
Enrico Caldinelli nasce a Monno il 10 novembre 1943, e fin da piccolo si appassiona alla musica, soprattutto grazie a suo padre, che lo indirizza prima all’armonica a bocca, e poi allo studio della fisarmonica. Enrico segue le lezioni di Gregorio Buffi per un anno e mezzo, scendendo da Monno in bicicletta con la fisarmonica in spalla:
Mio papà: ah, te se brao, impara a suonare la fisarmonica, non c’è nessuno qua in paese, impara a suonarla, perché vedeva che avevo…c’erano gli anziani allora, di allora che magari qualcosa facevano no, vicino a noi, vicino a casa nostra ce n’era uno che suonava un po’ con le fisarmonichine a semitono, quelle piccole, io andavo là, tutti quelli che passavano mi vedevano, erano quelle finestrine piccole, ero lì ad ascoltare quello lì che faceva [imita il suono della fisarmonica] e allora il papà dice: ma te ghe passiù de hunà, dai va’ so dal Gori, e allora ho iniziato. La prima fisarmonica l’ho presa da un anziano che c’era su: ah, l’dis, me non c’arrivo più, prua co la mè, prova con la mia, però era cromatica, la mia invece che ho adesso è a piano, era cromatica però non riuscivo bene, era un po’ vecchia, c’era qualche nota anche un po’ stonata…niente, il maestro Buffi mi dice: se vuoi venire a
scuola da me diga al to papà di prenderti una fisarmonica, dio l’ garà mia problemi, una fisarmonica a piano, e niente, visto che me te pode mia insegna’ …allora ho preso la prima fisarmonica era una Scandalli rossa 90 bassi, l’abbiamo fatta arrivare dalla casa, non so dove era la sede, e ho cominciato con quella lì.
Con le prime lezioni iniziano fin da subito le prime piccole esibizioni a Monno, sempre con il supporto del padre: Da giovane sempre su a Monno nelle osterie con mio papà mi ha portato fuori lui 42 43 diceva poi agli altri: ah, fa po so dui hunade l’me gnarel e niente ho cominciato lì. Poi lì ho cominciato ad avere un po’ di confidenza, nel senso, anche star con la gente perché poi durante la scuola, con il maestro Buffi…se sapeva che andavo anche solo a fare due note s’incazzava di brutto: ‘ntant che te studie s’va mia a sunà, bisogna essere buni a sunà prima de nda..non si diceva niente a nessuno. […]
Buffi era rigido, era bravo ma era rigido, e la paura di non sapere la lezione, poi lui scattava, lì bisognava avere…non so [cosa]…per continuare.
A un certo punto io non ce la facevo più, e gliel’ho detto in faccia: maestro, se rimane sempre così serio, così…come si dice…rigido, io non riesco a studiare, a casa la sapevo la lezione, arrivavo giù, c’era anche la figlia che suonava il pianoforte: papà dai, abbi un po’ di pasensa… ssth, vai in camera, vai in cucina, vai.. e non aprire bocca! Poi dopo un po’ ho tralasciato, poi parlando, perché Passeri, suo papà e suo nonno sono oriundi di Monno, allora mio papà parlava con suo papà: ghe fa ‘n po de scola al mè fiol, l’Gori l’è trop serio e niente…allora sono andato dentro un po’ da lui.
A 15 anni Enrico si trasferisce con la famiglia a Edolo, per facilitare il padre che lavora a Pisogne.
Comincia a frequentare la scuola selciatori e nel frattempo, conclusasi l’esperienza con il maestro Passeri, continua a suonare la fisarmonica da autodidatta, procurandosi spartiti e imparando canzoni, mantenendo sempre ottimi rapporti con gli altri suonatori e fisarmonicisti della zona, a cui chiede aiuto in caso di bisogno. Parallelamente continuano le esibizioni, che, dalle piccole osterie di Monno,
si spostano anche in altri paesi: Poi come ripeto, ho fatto un po’ da solo, prendevo gli spartiti e…mi spiegavano un
po’, se non capivo chiedevo, c’era anche Mario Arzaroli grande fisarmonicista, Biagio Caldinelli che era Caldinelli anche lui che a quel tempo erano quasi come Bagutti adesso, perché c’erano pochi…pochi…però erano bravi. Allora chiedevo un po’ anche a quello…e lui gentilmente mi spiegava, devi far così, poi non devi star lì …fa poche note ma falle giuste, sensa….si fanno le variazioni quelle…come Marco Davide è logico, fanno le variazioni e ne mettono tante altre note…basta farla semplice, poi dopo quando sarai capace che avrai maneggio puoi fare anche le variazioni, tutte ste cose qua ecco, anche sui trent’anni, poi
ripeto quando sono stato via a lavorare sui cantieri e non potevo suonar la fisarmonica, quando rientravo allora poi sì.
[…] Avevamo messo un gruppo, erano chiamati i Gacc de Monn io fisarmonica, sassofono quel Passeri che abita a Monno ma era nato qua a Edolo poi c’era il batterista, uno con la batteria sempre di Monno, che fa il mercato, c’ha il banchetto, Carletto Caldinelli, suonava un po’ la batteria…e niente. Fisarmonica, sax, batteria. Poi ce n’era un altro, Minelli che è stato presidente anche degli alpini, Minelli Ferruccio, anche lui suona un po’ la fisarmonica e allora eravamo in quattro, i Gacc de Monn, avevamo le camicie con su il gatto stampato qua, ce l’ho lì ancora, adeso non mi va bene più…e per un po’ andavamo, al Quai per esempio, su al ristorante Il Quai, anche giù in paese al Gatto Nero, adesso è Gatto Nero, prima non era Gatto Nero, andavamo su a suonare lì, cene, anche qua all’albergo Angelo, cene…venti trenta persone…ah, g’è i Gacc de Monn a suna’ a alura ‘n ve anche notre…amici e avanti …per quattro, cinque anni siamo andati avanti così, poi uno da una parte uno dall’altra…il gruppo è stato quello lì, poi si suonava io e quello lì che suonava il sax sempre tra amici, cene, pranzi…roba del genere.[…]
C’era il maestro Avanzini a Cedegolo, Ferruccio Avanzini, che insegnava anche musica, c’era il Mora su a Cevo, poi l’Arzaroli Mario, li conoscevo personalmente, ho suonato anche assieme perché il mio papà era amico del maestro Avanzini perché lavoravano giù a Forno [d’Allione], quando è venuto su da Pisogne mio papà poi ha preso il posto a Forno d’Allione e quel maestro Avanzini lì lavorava anche lui eh alura dai…l’to gnarel lè fal huna, le ‘nsegne me ‘n po, ho fatto due o tre canzoni me le aveva insegnate lui …sì ma anche lì a Forno d’Allione abbiamo suonato, è venuto su anche a Edolo, mio papà tutto orgoglioso: mdone ‘l suna insieme al maestro Avanzini…poi anche con Casalini abbiamo suonato un po’ assieme, mi ha dato anche delle musiche ma mi è un po’ difficile…è un po’ difficile: no te la…te la faccio un po’ più semplice , meno note! Sono andato [in Val Saviore] che avevano su la pizzeria …sono stato tanto a suonare , a Paspardo, a Pescarzo e Cemmo. […]
Mentre la passione per la fisarmonica cresce e diventa un impegno importante, Caldinelli lavora come selciatore, fino all’età di vent’anni. Successivamente comincia a lavorare come autista e scavatorista
nei cantieri, e si sposta per il Nord Italia.
Beh se ero in giro a lavorare che stavo in giro a lavorare portavo via la fisarmonica, suonavo anche in cantiere, anche a Varese son stato là sei anni a lavorare che han fatto la centrale come questa sul Lago Maggiore, a Luino, sono stato lì sei anni e si veniva a casa una volta al mese, e poi si facevano i turni si lavorava anche la domenica e allora lì, nel cantiere, nella baracca diciamo si suonava…c’erano meridionali veneti, della Valtellina, Val Saviore, eravamo però ecco quando eravamo lì in cantiere prendevo la fisarmonica, loro cantavano.
La fisarmonica torna a occupare un posto importante nella vita di Enrico al suo rientro in Valle Camonica, per la costruzione della Centrale Idroelettrica di Edolo, che lo occuperà otto anni.
La musica si propaga sia in casa, come allenamento e come passione, sia nei contesti pubblici, che diventano sempre più numerosi: feste dei coscritti, feste degli anziani, compleanni, ma anche sagre e feste popolari,
in compagnia di amici e colleghi suonatori, o nelle case di riposo. Il repertorio è vario, perché passa dalle canzoni popolari camune, che spesso ha occasione di suonare con l’amico Germano Melotti, alla musica da ballo e anche alla musica leggera e più recente, che consente a Enrico di mettersi alla prova, riproponendo musiche che gli piacciono particolarmente:
[Facevamo] musica popolare ma anche musica leggera nel senso cose cose…quelle che si sentono di più, che vanno di più, negli anni giusti o no, quegli anni vanno quelle canzoni lì, poi cambiano genere, musica da ballo, facevamo anche quelle che facciamo adesso [alle serate], […]
[La musica] la imparo subito, se la sento due volte, con il mio impianto, la registro e poi la risento e fermo le parole e la scrivo, poi provo la tonalità e poi …anche così, la sento due volte la faccio, però non ho mai composto.
Nel frattempo la moglie preleva il Bar Sport a Edolo nel 1978. Finiti i lavori alla Centrale Enrico decide di rifiutare incarichi che lo porterebbero lontano da casa e si occupa del bar fino al 1991.
Finita l’esperienza del bar torna al suo antico mestiere, e apre come artigiano un’impresa di selciatore con alcuni dipendenti, continuando anche oltre la pensione, concludendo l’attività a settant’anni.
Quello che maggiormente mi ha colpito nel racconto di Enrico è la spontanea semplicità con cui racconta i fatti della sua vita, quasi fossero di poca importanza, come se acquisissero senso solo nell’intimità
di quella singola esistenza. Eppure le esperienze di Caldinelli sono tante e sono importanti: una vita fatta di lavoro prima di tutto, e di passione, per la musica in generale, e per la fisarmonica in particolare.
La musica nella biografia di Caldinelli assume un ruolo cruciale perché costruisce relazioni: con i ricordi, con gli affetti, con la comunità, ma anche con se stesso, consentendo a emozioni che
per abitudine, nella vita quotidiana, non sono solite emergere, di farsi spazio e di prendere un posto importante.
La musica è occasioni, incontri, vicende raccontate in dialetto perché quella è la lingua delle esperienze, dei fatti, della vita vissuta. Ed è proprio questo uno dei motivi che rende questa testimonianza particolarmente
preziosa, anche perché a un quadro ideale che il ricercatore si figura, emergono subito le contraddizioni della vita reale, delle singole esperienze e aspirazioni: a una spiccata sensibilità musicale, naif ma acutissima, Enrico affianca il profondo dispiacere per non aver continuato nello studio, non essere riuscito a fare della fisarmonica una vera e propria professione:
Mi dispiace di non essere andato avanti, perché anche Marco Davide quando…ci siamo trovati a Monno due o tre volte e anche lì a Iscla ci siamo trovati e l’me disia: Caldinelli te te ghe de studià perché c’hai un maneggio anche con la fisarmonica e…apprendi
subito. Perché ne faceva una lui e dopo io magari…non come la faceva lui però la suonavo …te l’è hintida ades, no ma mi entrava subito…sarà un dono di natura, non so. Certo che mi dispiace [non aver continuato] ma lo dico sempre eh, ah cretino, se andae aanti ades, invece di andare a meter so…invece di andare a fare pavimenti andavo a suonare: Orchestra Caldinelli Orchestra Gacc de Monn eh…certo che mi dispiace ma amaramente, mi sarebbe piaciuto… ripeto, tutto per quelle cose lì: la paura del maestro, essere…non timido, in mezzo alla gente…poi se sbaglio cosa diranno se sbaglio…mi si metteva quella cosa lì che non riuscivo a tirar fuori quello che sapevo a casa…da solo la suonavo benissimo, andavo dentro in mezzo alla gente non me la ricordavo. Adesso no, adesso canto anche…il sabato e la domenica ma quasi tutti i giorni [suono] un’oretta eh, certo, se non sono in giro a lavorare…
un’oretta tutti i giorni. Sento che battono le mani i vicini di casa…’na olta o l’otra … si vede che piace la fisarmonica, anche quelli sotto di me…[gli dico] vi dà fastidio se faccio due suonate? Fastidio? Suna finché te n’è oia che notre ‘nte bat le ma’…
Anche la musica popolare, che nella biografia di Caldinelli emerge in modo importante, si dimostra essere prima di tutto memoria diretta, ricordo del padre e delle esperienze personali, lontano da
elaborazioni o consapevolezze teoriche:
Ai tempi che si andava a fare anche le serenate alle ragazze per esempio. Andavano nelle stalle, a quei tempi andavano nelle stalle in maschera, allora c’era quello con la fisarmonica, si batteva nella porta: permesso: ‘n pode igni a fa doi hunade? Devo dirlo in
dialetto …doi hunade con le mascherine? E allora aprivano la porta si entrava nella stalla e si facevano tre suonate, mi ricordo che facevo tre suonate…le uniche tre che sapevo erano quelle lì…giravo venti stalle sempre quelle tre.
[Di canzoni popolari] ne so una settantina ne so…partendo da quelle che cantava il mio papà perché cantava bene mio papà, oltre a suonare l’armonica cantava bene […], dopo anche il Germano mi chiedeva te ‘l set chela lè? Sè sé, la ‘nsegnaa l’me papà. Anche
venerdì sera [all’evento Dov’è finita la nostra musica?] ci guardavamo solo ma sapevo già io quella che iniziava…adesso ‘n fa chela lè..poi c’erano quelli che cantavano, il gruppo che cantava…però ecco le sapevo tutte quelle lì, tutte a memoria sì, beh è logico eh, quelle canzoni vecchie lì la musica dov’è che la vai a trovare…perché sono orecchiabili e anche facili da interpretare perché cioè…le sentivi cantare e allora ti rimangono dentro.
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