Melotti Germano (Fisarmonicista)

Germano Melotti nasce a Breno nel 1969 ma vive da sempre a Monno, una comunità che, come lui stesso sottolinea, l’ha formato e cresciuto come una famiglia allargata, diventando un vero e proprio orizzonte di senso per la sua esperienza di vita. Fin dai primi anni Germano sviluppa un crescente interesse
per gli usi contadini e le tradizioni di paese e di famiglia, sia grazie a una formazione scolastica particolare, legata al mondo agreste e alla vita all’aria aperta, sia grazie alla sua curiosità, che lo spinge ad
affiancare gli anziani della sua comunità, per conoscere storie, usi, saperi artigiani. Questo primo piccolo lavoro di ricerca, seppur acerbo, conferma da una parte lo spunto antropologico, che lo accompagnerà fino ad oggi, ma anche la propensione all’empatia, la capacità di immedesimarsi e calarsi nelle storie che incontra, riuscendo a viverle con sentimento e passione.
Viene cresciuto, data l’età e il lavoro dei genitori, da una signora molto anziana, Margherita, che gli trasmette ancora di più l’amore per le tradizioni, le storie e le leggende di paese. Il suo primo approccio
con la musica avviene già alle elementari, con il maestro Passeri di Edolo, che lo inizia al mondo della fisarmonica, e prosegue poi con Mottinelli, che lo accompagnerà con maggiore dolcezza, rispetto
al carattere spigoloso di Passeri, nel prosieguo degli studi.

Germano si posiziona quindi nel filone edolese, che ha a capo il maestro Gori Buffi, i suoi allievi, e gli allievi degli allievi, di cui fa parte. Continua
così non solo una tradizione musicale molto sentita a Monno, che ha dato i natali a numerosi fisarmonicisti, ma anche una propensione, già presente nella sua famiglia, al canto e alla musica. Nel frattempo
si affianca anche alla musica liturgica, con l’armonio prima e con l’organo poi, cominciando da autodidatta e poi seguendo le lezioni del Maresciallo Canossi di Edolo, cosa che gli permette di suonare
durante le celebrazioni e di entrare in contatto con la potenza della musica sacra e l’importanza del ruolo dell’organista, che, come ammette il testimone, a volte ruba quello del prete.
L’organo a canne di chiesa è stato suonato spesso da fisarmonicisti […] io per esempio ho vissuto una bellissima esperienza […] cercavo di creare l’estasi che creo nelle osterie anche in chiesa…è tutto un lavoro fatto di aumento dei registri dell’organo […] e la gente va in estasi. I preti sono sempre stati difficili in questo perché sanno che gli rubi il ruolo. […] A parte chi mi abbia reso dotto sulle note e sul sistema, ce l’avevo già dentro, perché quando suonavo l’armonio in chiesa con Don Raimondo anche l’armonio ha un ripieno, ha tutto un sistema […] e anche la bellezza di essere giù in mezzo alla gente, la gente ti guarda, ti osserva, e osserva la magia […]. Con l’organo […] ho dovuto farmi gli spartiti, prendere i pentagrammi e trascrivermi tutte le musiche perché io non ho iniziato da un testo per andare a suonare, ho ascoltato la gente, venivo a casa mi mettevo lì e in base a quanto cantava la gente ho trascritto tutte le musiche, io ho le trascrizioni di come canta la gente, non delle musiche, così anche la fisarmonica, tutti i canti popolari li ho sentiti dalla gente ma ero talmente abituato che con il canto popolare appena lo sento lo suono, e non ho più dovuto trascrivere niente, ne ho trascritti solo una ventina.
Anche quando si parla di organo emerge chiaramente l’attitudine di Germano all’ascolto della gente, di quello che sente e prova, e al suo giocare con queste emozioni attraverso la musica, che diventa accompagnatrice e poi guida, che aiuta a far emergere i sentimenti della comunità. Già da qui il suonatore si delinea, nella visione di Germano, come un profondo conoscitore: della comunità del sentire
comune, degli umori passeggeri, dei bisogni e delle necessità. Il musicista diventa così esorcista, pifferaio, sciamano. Nel frattempo Germano lavora nel negozio di famiglia, fin da giovane è macellaio, gastronomo, salumiere. Ma anche questo fatto diventa occasione preziosa per conoscere il paese, la sua gente, le sue storie e le sue cantate.
La domenica avevo una persona per famiglia che, se avevano un malato, passavano a prendere una bistecca, poi tutti prendevano il pezzo di bollito per il risotto. Prima passavano per il pane, poi per la carne e dall’ambulante per il grana e bevevano il cichetì mentre io e mio papa tagliavamo l’osso del bollito e lì partiva la cantata, quindi un apprendimento causato da un lavoro che mi permetteva di ascoltare le ciacole del paese.
L’abilità e l’amore per la musica e la fisarmonica caratterizzano Germano, che diventa subito non solo un suonatore, ma un vero e proprio personaggio: questo lo porta ad avere tante e diverse esperienze, in televisione e in radio, e a uscire anche dal suo orizzonte conosciuto, quello della Valle Camonica.
Un incontro, quello con i panorami cittadini, che testimonia un dialogo tra città e montagna ancora fermo, soprattutto nel mondo dello spettacolo, ad alcuni stereotipi ed immagini difficili da scardinare:
quelle del montagnino – macchietta, che ignora il resto del mondo, rude, ma anche ingenuo, legato a tradizioni ferree, a un piccolo mondo antico in via d’estinzione, che parla dialetto e mangia come
facevano i suoi nonni. Per Germano questo confronto è motivo di riflessione critica sul mondo dello spettacolo ma anche sui modelli di vita, e un ulteriore conferma del suo profondo radicamento al paese
d’origine.
Sono andato fuori dalla Valle a suonare ma ho sempre vissuto qua, ma non ho mai guidato eh, perché [se] dovevo prendere la macchina e guidare…arrivavo là e piangevo. Io dovevo chiudere gli occhi, immedesimarmi nelle mie montagne come Heidi, arrivare in città, suonare e chiuderli. Perché il primo plesso di Milano di quelle case popolari con sui giardini pensili che mi sembrano celle per alberi mi veniva un magone che… […]. Ho fatto dieci anni, dal 2000 al 2010, poi ho fatto molti anni qua, ho iniziato a Teleboario […]. Ho fatto molto Telelombardia, Antenna Tre, Italia7 Gold alcune presenze, alcune con Più Valli ma molto poche in quanto ho avuto un contratto con Teleboario, che è la concorrente Territoriale. A Radio Voce nella trasmissione Stramadecc, a Radio Valle raccontavo le bote […]. Mi hanno chiesto di partecipare a Striscia la Notizia, al Costanzo show, come se fossi
un Tarzan delle Alpi, di questo cantastorie che non aveva visto il mare a trent’anni, l’ho detto al direttore di produzione che era normale, non sono come quelli di città che fanno debiti per andare al mare, io vivo bene senza andare in vacanza, per me [la vacanza] è ritagliarmi ogni giorno momenti di felicità, come il pastore si mette un attimo sotto il larice e quella è la sua vacanza, non c’è bisogno di sfogarsi quindici giorni se ogni giorno hai un momento di felicità, di soddisfazione. Mi chiamavano per fare questo King Kong e non ho partecipato […].
È difficile riassumere tutte le attività che hanno impegnato e impegnato tutt’ora Germano: cantastorie, musicista professionista, presentatore televisivo, ricercatore di canti e balli popolari, uomo di
spettacolo, promotore di eventi, anche archivista, in un certo senso. Germano si dedica al mondo delle tradizioni a tutto tondo, cercando di far riemergere quello che è stato dimenticato senza nascondere le
esigenze del mondo contemporaneo. La sua continua ricerca, perché di questo si tratta, è accompagnata
da un’analisi profondamente sentita ma anche lucida sui cambiamenti che la società in Valle Camonica, sia in ambito culturale che musicale, ha affrontato. A questo si accompagna un obiettivo preciso, forse a volte un po’ nostalgico, di ricreare degli stimoli che permettano la riscoperta di alcuni usi scomparsi, di portare l’attenzione sul perché esistevano certi costumi, e riportarli in auge facendo leva sul senso d’appartenenza, sul profondo legame che ci lega a quelle tradizioni, che sono in noi, anche se sono venute a mancare le occasioni e i contesti.
Se avessimo coltivato, nell’ambito della fisarmonica, avessimo fatto capire il substrato culturale importante a discapito delle mode…ci siamo svenduti a una musica di chiesa diversa, ci siamo svenduti ai centri commerciali, a una musica di fisarmonica diversa, un bisogno che è stato indotto dalle case discografiche, tanti che la pensavano come me si sono lasciati trascinare, io sono rimasto fermo come un legno di larice. E a distanza di 20 anni posso dire che sono apprezzato nelle mie idee. In tante cose che cercavo di seminare in cui ero reietto, vedo ora che invece passa del tempo e sono apprezzato, non solo in paese, ma anche fuori, […] Nei primi del novecento venivano già a Monno musicisti da fuori, quindi forse è giusto anche così, questa ricchezza…il problema è che quando vado io fuori posto musica dal vivo, quando vengono loro qui inficiano tutto il lavoro che ho fatto e la musica è prostituta, appena sentono questi playback io sono rovinato. Una volta c’era un vaso comunicante di stessa portata, ora io vado fuori e qui viene il progresso. Bisogna valutare che il gusto cambia, la manfrina la consideriamo patrimonio, ma è ottocentesca, nel settecento non c’era. Ogni stagione ha la sua peculiarità, ma sempre si è ballato e suonato,
magari non i balli della nostra terra ma con lo spirito che sono propri, con un’identità. Ora la macarena, il ballo del qua qua no…alcuni balli come il tango, il valzer, riescono a continuare l’identità. Come la pasta, devi lavorarla, come la gente lavora e suda, così anche il sonatore deve sudare, era amato perché la fisarmonica pesava, perché faceva fatica, restava fuori fino a tarda ora, adesso sanno che il suonatore schiaccia il bottone, la fatica è venuta meno, poi il ruolo di prendere la cosa e modificarla secondo i gusti della comunità…[…]. Per il sistema di omologazione, ora sono tutti uguali, forse cambia la modalità
se canta il cantante, c’è una tipologia che è immutabile che invece la gente come me modifica in base alla gente, se sono giovani, vecchi, secondo il ritmo del paese […].
Alla base di tutto c’è una profonda attitudine all’ascolto: della natura e della gente che la abita. Ascoltare con sensibilità porta a capire che la realtà è complessa, che gli umori, i sentimenti, le stagioni,
tutto cambia, e si muove. Non c’è spazio per l’omologazione, per l’appiattimento: un musicista deve ascoltare la comunità, ed aiutarla a far emergere quello che ha bisogno di esorcizzare, di rivivere, di
dimenticare. Un modello che non so collocare storicamente, che non so se possa essere riproposto o programmato, ma sicuramente che fonda nelle radici la vita e l’esperienza di Germano. Un’esperienza
che sa mescolare questo profondo sentire alla propria capacità di fare spettacolo, di fare intrattenimento, anche promozione: di sé stesso ma anche della sua visione, del suo modo di intendere la vita, il passato,
le radici.
E poi, oltre all’ascolto e alla capacità di fare della propria visione un mondo, c’è una grande consapevolezza dei meccanismi che stanno dietro: allo spettacolo, al gusto, alle tradizioni, anche alle ricerche antropologiche.
Vedere e capire questi meccanismi spesso non è facile, ma rispondere a questi meccanismi proponendo in cambio la propria resistenza, a volte estremamente pragmatica e attenta al mercato, ma anche poetica, rende Germano un personaggio unico nel suo genere, anche in Valle Camonica: Nella mia vita [ho cercato di] non essere un passivo trascrittore di quello che è stato ma prendendo spunto, [ho cercato di] accattivare, condizionare i giovani a riscoprire questi valori, a tavolino, creare gli indotti affinché la tradizione si possa reintrodurre, tipo il canto del pastore e la questua delle uova, che era andata persa completamente. […] Siccome a me il tempo non dà niente, sono molto impreciso negli anni. Il tempo l’è tut tacat, diceva mio papà, non definirlo […]. Il tempo nella musica, nell’evoluzione di una persona, non c’è, […] non è catalogabile, è la gente che ti intervista che vuole gli anni i mesi, ma tu devi far pressione, mettere sul tavolo dell’intervista che tu sei una persona senza tempo. Anche quando si dialoga non bisogna sempre rispondere a tutte le domande, alcune domande devi farle te a chi ti chiede: ma è giusto suddividere il tempo, la vita di una persona che è regolata dall’amore e dalla passione? Io non mangio…quando sono impegnato non mangio, suona la campana del mezzogionro, io non la sento, ma capita a tutti, nella propria passione..; quando fai l’amore con una donna, non ascolti se suona il mezzogiorno o la mezzanotte, quando un suonatore ha l’ispirazione talvolta è più di un orgasmo. Perché c’è l’orgasmo intellettuale […] e c’è anche l’orgasmo musicale, di scoprire che quella danza dell’Orso non aveva una musica propria ma aveva una musica dettata dal momento […] riscoprire come si ballava veramente […] sono momenti tra virgolette estatici per il ricercatore, senza tempo. […] E io sono felice nella mia vita perché so
riconoscere questi momenti. Perché nella vita, non è sufficiente viverli, perché se li vivi ma non gli dai importanza non hai la felicità di godere di questo […].
Germano è ben consapevole anche di queste sue capacità, del suo carisma, e ha saputo costruirsi un ruolo e un mondo attorno a quel ruolo, che, se da una parte rischia a volte di cadere nella nostalgia,
dall’altra continua a essere da lui ascoltato e riproposto con fiducia e convinzione. Il suo obiettivo è quello di salvare delle manifestazioni di un sentire che era comune, che era efficace per le comunità
di paese, che trovava il suo significato in un orizzonte che forse non c’è più. Ma lo spirito con cui Germano opera, quello c’è, ed emerge, in tutta la sua testimonianza, nella sua commozione, nella sua ostinata
caparbietà.
Come un bambino che si meraviglia ogni volta io mi meraviglio di vivere un momento. […] Mangi una caramella con l’emozione e la voglia come se fosse la prima dopo tanta carestia, io ho avuto questo dono, forse più di quello di musicista…chi mi conosce mi dice: tu hai lo spirito del fanciullino, e lo spirito del fanciullino penso sia poi quello che ha visto quella ragazzina di pochi anni che, in piazza a Ponte di Legno, dopo due ore che era lì immobile ad ascoltarmi, dico: scusa ma non hai freddo, sei qua da due ore e non hai neanche la sciarpa? Eh no, [risponde lei] perché tu sei un vero pagliaccio. E se comunichi di essere un vero pagliaccio a un bambino hai azzeccato la professione, ti rimane il complimento, più [di quello] di un regista che ti dice [che] sei bravo.

Melotti Germano
Località: Monno

Cartella tematica

Questa risorsa è archiviata in una cartella tematica, approfodisci il tema:

Nelle varie azioni di valorizzazione e tutela del patrimonio culturale camuno, la Comunità Montana di Valle […]

Contenuti collegati

Continua la consultazione tematica con le risorse suggerite dalla redazione:

Ferdinando Mottinelli, classe 1965, originario di Malonno, ha ricevuto la sua prima fisarmonica dallo zio

CATEGORIE

Questo contenuto è stato indicizzato, qui trovi le categorie associate:

Tutti i diritti riservati a :
Comunità Montana di Valle Camonica – Brescia
Vedi anche: turismovallecamonica.it | vallecamonicacultura.it | segnoartigiano.it | vallecamonicaunesco.it