Putelli Giacomo (Fisarmonicista)

Giacomo Putelli nasce a Breno settantatré anni fa, e vive tutt’ora nel suo paese natale. Comincia a suonare fin da piccolo il clarinetto nella banda, e sperimenta numerosi altri strumenti, tra cui l’organo e la chitarra. Ma il vero amore, come lui stesso ammette, arriva dall’incontro con la fisarmonica, a 22 anni, mentre presta il servizio militare: Quando sono andato militare, che tutti si lamentano, io ero nell’Aeronautica, i giorni più belli della mia vita… perché lì è entrato un amore non di donne ma di musica, la fisarmonica, ciao… cambiata tutta la vita e basta e dopo adesso vivo ancora serenamente grazie alla musica soprattutto.

Io ho provato, un anno suonava mia sorella, brava, andava dal maestro, brava, faceva gli esercizi ma io insomma la prendevo non riuscivo, a divincolare la destra con la sinistra e abbandonavo e abbandonavo, dopo un anno, non so, miracolo! Penso che da lassù qualcheduno ha guardato giù, ci sono riuscito a fare i bassi: un, due, tre e di qui: do, re, mi oh! Allora ci riesco anch’io, fattostà che ho preso il metodo di mia sorella, in otto giorni avevo superato tutto quello che aveva fatto lei in due anni con la fisarmonica e mi ha detto: Giacomino ti regalo la fisarmonica, io non suono più! Bisogna che ogni strumento dev’essere adatto alla persona perché io te l’ho detto ho provato il sassofono, ho provato la chitarra ho provato l’organo, il clarinetto, ma come ho preso in mano quella, che riuscivo a divincolare i cosi [bassi] basta, la vita era cambiata, il miracolo!, Per me era un miracolo perché avendo anche un po’ di orecchio seguivo chi cantava e così […] studiare purtroppo io, lavorando proprio non avevo assolutamente tempo perciò ho studiato quei tre mesi lì che ero militare e nella banda […] dopo io …si può dire in dialetto ligoss? Ligoss perché facevo tante e le faccio tutt’ora tante attività e la musica l’ho trascurata però non sarò mai a livello di un Marco Davide che ammiro, un grande mio amico e quelli li ammiro che studiano, però nel mio piccolo, alto un metro e novanta (ride) mi chiamano e vuol dire che son gradito anche nella mia piccolezza. […] La fisarmonica mi dava tutto quello che un musicista ha dentro.
Da questa scintilla nasce la carriera professionale di Giacomo, che abbandona il lavoro di falegname iniziato in precedenza per dedicarsi completamente alla musica, che diventa un vero e proprio lavoro:
Quando sono tornato dalla naia ho fatto ancora il falegname per un anno o due, ma dal momento che da non so da dove è venuto il richiamo, un certo Gervasoni, che era socio del avvocato direttore delle Terme [di Boario], mi chiama: puoi venire giù a suonare la fisarmonica? Eh sì ma non sono capace io… No, ma mi hanno detto che lei, mi dava del lei, a 24 anni avrò avuto, vieni giù con la fisarmonica, vado giù mi mette sul palco dove c’era [stato] Bagutti, Vasco Rossi, Mike Bongiorno, senza amplificatore, niente, seduto lì, solo, ma che l’me par che ie po drè a tom an giro, pocia io sapevo quindici brani, venti, perché allora leggevo musica, sapevo anche interpretare qualche brano, o mia bela madunina…niente, adesso ho detto mi manda a casa a calci nel sedere, niente…nono guardi se può prendere un amico o due e venire a fare qualche pomeriggio…insomma a tenertela corta l’anno dopo mi hanno fatto suonare nove mesi, in tre eravamo […] un batterista e un sassofonista, Caldinelli e Faustinelli, e io mi chiamo Putelli, eravamo tutti e tre belli, e lì uno, non so se è stato il sassofonista, credo di sì, vai ci chiamiamo i Folk Camuni, tanto per dare un nome, eh…è esattamente cinquant’anni che c’è quel nome lì […].
Si suonava senza nessun dischetto, senza niente, e quella era musica, e una cosa che devo far notare anche a…perché sono così senza aver avuto grandi livelli musicali, stavo imparando un brano francese molto difficile[…], l’avevo imparato, un bel valzer francese, tè, suono, la gente, c’era giù la gente così, ma non balla nessuno, allora sai cosa ho fatto mentre suonavo questo, tanto i miei due amici venivano dietro di me, faccio l’Ambasciatore, o la Piemontesina, tè, tutti che si alzano a ballare, ho detto basta io non mi impegno più imparare brani difficili, facevo un valzer viennese, e dopo facevo la musica nostrana così…e lì suonavo nove mesi tutti i giorni, e mi sono accorto che mi pagavano anche bene, poi facevo le serate ho detto eh ciao, smetto di fare il falegname, ma vuoi scherzare, ho smesso così potevo seguire di più le mie serate. Da questo primo ingaggio la carriera di Putelli non si è mai fermata, passando da serate danzanti, feste private, feste di paese, ma anche suonate nelle case di riposo e in compagnia del coro Arti e Mestieri di Bienno: tante occasioni diverse, con repertori che vanno dalla musica da ballo a quella popolare, a quella più moderna, che si adatta anche a serate di karaoke o con i bambini. Anche i luoghi variano, con il gruppo Folk Camuni e poi con tutti i vari collaboratori di cui si circonda, suona non solo in Valle Camonica ma anche in Valtellina, nel milanese, in Svizzera ecc. Giacomo Putelli assume quindi il ruolo non solo di musicista, ma anche di vero e proprio imprenditore, di sé stesso e dei suoi gruppi: al primo posto c’è il pubblico e le sue esigenze, e l’obiettivo è quello di adattarsi alle diverse occasioni, dalle serate che ripropongono le musiche tradizionali, in cui si suona sempre dal vivo, agli spettacoli con karaoke o animazione, dove l’intrattenimento prende il sopravvento sulla parte musicale.
A fare da collante a questo collage di esperienze musicali diverse, a volte anche profondamente, è l’indole di Giacomo Putelli, la sua capacità di far vivere lo strumento e di essere lui stesso cassa di risonanza del pubblico, diventando un protagonista del palcoscenico, coinvolgendo gli spettatori e mettendosi in gioco.
Una propensione che nasce fin dai suoi primi approcci con il palco, e che continua ancora oggi, consentendogli di essere apprezzato e di compensare la mancanza di virtuosismi che il testimone stesso ammette: Ero su dalle suore messicane [la prima volta che mi sono esibito] io, mia sorella e mio fratello di otto anni, che gli ho insegnato io la musica, mio fratello suonava il quartino, è un clarinetto più piccolo, io il clarinetto e mia sorella la fisarmonica […] Sul palco mia sorella stava svenendo perché era timida…no no, go’ dit, dai dai che facciamo giù una suonata tanto per…parlo di cinquanta anni fa, cinquanta anni fa era tutto diverso, la gente non aveva i telefonini e stavano attenti anche alle piccole cose, credo che abbiamo fatto la Cumparsita se non vado errato, che mia sorella la sapeva bene, però lì mi sono già accorto che grazie a mia madre, che mi diceva Giacomino non devi avere vergona, bisogna avere vergogna a fare il male, ma a fare il bene no, e difatti aveva ragione, invece mia sorella [diceva] madona, g’ho respet, invece no, lì Giacomino ha iniziato a capire che non bisogna aver vergogna a parlare con la gente anche se sei su [sul palco]…tu immagina alle Terme di Boario la gente che c era allora , c’erano dalle tremila alle cinquemila persone al giorno! […] E adesso la fisarmonica tutt’ora nella casa di riposo con il mio complesso e così via hai capito…se mi chiamano vado ancora tanto in Svizzera, a Milano, in Valtellina, perciò vuol dire che ho seminato nel mio tempo, anche se musicalmente non a un livello così, però basta piacere alla gente, hai capito? […] In compagnia di un coro [il Coro Arti e Mestieri di Bienno] di donne e uomini di una certa età che io chiamo ragazze ma la media degli anni è sugli ottanta […], ho fatto questa scelta di entrare con questo gruppo e loro mi ringraziano anche perché io non sono uno che suona stando alle regole, io mi alzo, ballo, canto, scherzo e nei posti dove andiamo siamo graditi perché se ci chiamano ancora e se mi chiamano ancora anche me vuol dire che non sono da rottamare […] perché loro erano tutte un po’ serie nelle case di riposo… nono matèle, guardate che qui bisogna dare gioia di vivere anche ai malati infatti li faccio ballare sulle sedie a rotelle e così, nel senso di dargli quello stimolo di quell’ora quelle due quelle tre ore di gioia per quello che riguarda la musica.
Una lunga carriera gli consente anche di fare dei bilanci per quanto riguarda la scena musicale e il pubblico, con i cambiamenti che stanno attraversando, soprattutto, secondo il testimone, dovuti alla crisi economica, che ha fatto diminuire gli spettatori da una parte e ha impoverito il mercato dall’altra, creando concorrenza e abbassando i compensi dei musicisti, che sono spesso costretti a mettere in secondo piano la preparazione musicale. In ultimo rimane una considerazione importante, che Putelli riesce a sintetizzare grazie a uno dei tanti episodi che la musica gli ha permesso di vivere in prima persona: Le osterie le creiamo noi quando andiamo a mangiare una pizza o qualcosa…lè l’vola ‘n aria tut eh…dopo la gente, che non canta più nelle osterie come era una volta, a sentire noi a cantare ah i ve lè eh, e non solo nelle osterie, lì nella mostra mercato tanto per dirti, è venuta lì una donna dopo un’oretta che io vado là e vedo la gente e canto e faccio cantare anche gli altri mi dice: lei ha fatto una cosa che non ci credevo, ha fatto cantare mio marito che è vent’anni che l’ho sposato non l’ho mai sentito cantare cioè, vuol dire che…gli dai quella forza…[…] ah che è una bella cosa!

Putelli Giacomo
Località: Breno

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